Caccia agli Elefanti: le razze cacciabili in Africa. Morfologia, habitat e tecniche di caccia
La caccia agli elefanti rappresenta una delle esperienze venatorie più impegnative e affascinanti del continente africano.
Conosciuta da sempre come la regina delle cacce africane, questa avventura richiede conoscenza delle specie, grande preparazione fisica e rispetto profondo per l’animale e per l’ambiente che lo ospita.
In Africa esistono due principali sottospecie di elefante cacciabili, profondamente diverse per morfologia, habitat e comportamento: l’elefante della savana africana (Loxodonta africana africana) e l’elefante della foresta (Loxodonta africana cyclotis). Comprendere queste differenze è fondamentale per affrontare la caccia con il giusto approccio e la preparazione adeguata.
ELEFANTE DELLA SAVANA: IL GIGANTE DELLA PIANURA
L’elefante della savana è il più grande mammifero terrestre al mondo. I maschi adulti possono superare le 6 tonnellate di peso e raggiungere un’altezza al garrese di oltre 3,5 metri. Imponenti le zanne, che nei grandi esemplari possono superare i 50-60 kg ciascuna e oltrepassare i due metri di lunghezza.
Dal punto di vista caratteriale, è un animale territoriale, abituato a spostamenti su vaste aree, spesso in cerca d’acqua. Nonostante la mole, è agile e veloce e può diventare imprevedibilmente aggressivo, soprattutto se disturbato o ferito.
L’habitat naturale di questa sottospecie sono le ampie savane, i bush semi-aridi e le zone di mopane dell’Africa meridionale e orientale: Zimbabwe, Mozambico, Botswana, Tanzania, Zambia e Sudafrica. La caccia avviene prevalentemente a piedi, seguendo le tracce fresche lasciate nella sabbia o nella polvere.
ELEFANTE DELLA FORESTA: IL FANTASMA VERDE
L’elefante della foresta è più piccolo, ma non per questo meno impegnativo. Raramente supera le 3 tonnellate di peso, ha orecchie più piccole e zanne più dritte, spesse e dall’avorio rosa o giallastro, molto apprezzato sul mercato per la sua qualità.
L’indole è molto più schiva e diffidente rispetto al cugino della savana. Vive in piccoli gruppi familiari ed è particolarmente difficile da avvicinare, grazie anche alla fitta vegetazione che gli garantisce un vantaggio naturale.
L’habitat è rappresentato dalle foreste pluviali dell’Africa Centrale: Congo, Camerun, Gabon e Repubblica Centrafricana. La caccia all’elefante di foresta è un’esperienza unica, resa complessa dalla vegetazione impenetrabile e dalla difficoltà nel trovare l’animale. Si caccia quasi sempre seguendo tracce appena accennate, spesso con l’ausilio di tracker locali.
TECNICHE DI CACCIA: DALLA TRACCIA ALL’AGGUATO
1. Caccia alla cerca (Tracking)
È la tecnica più classica e praticata, ideale nella savana. Si parte all’alba seguendo le tracce fresche lasciate dal branco nella sabbia. Serve resistenza fisica, capacità di leggere ogni segnale e un ottimo team di pisteurs locali. La fase finale prevede l’avvicinamento a distanza utile per il tiro.
2. Caccia all’agguato o all’aspetto
Meno praticata ma possibile in alcune aree, soprattutto nei pressi di pozzanghere o punti d’acqua dove gli elefanti si recano a bere. Richiede pazienza e la capacità di gestire il tiro ravvicinato.
3. Caccia nella foresta
Qui la caccia diventa quasi una sfida primordiale: si procede a fatica, aprendo varchi nella vegetazione con il machete, guidati dal rumore degli elefanti o da segni freschi come escrementi o cortecce strappate. Il rischio è sempre quello di un incontro improvviso e pericoloso a brevissima distanza.
ARMI E CALIBRI IDEALI PER L’ELEFANTE
La caccia all’elefante richiede armi specifiche, pensate per garantire penetrazione e letalità anche sui colpi di fortuna che possono essere gli unici a disposizione in caso di cariche improvvise.
I calibri più utilizzati:
- .375 H&H Magnum – Limite minimo legale in molti paesi, adatto solo con proiettili solidi e per cacciatori molto esperti.
- .416 Rigby / .416 Remington Magnum – Equilibrio perfetto tra potenza e precisione.
- .458 Lott / .458 Winchester Magnum – Ottimi per la caccia nella savana, grande potere d’arresto.
- .470 Nitro Express / .500 Nitro Express – I classici calibri da doppietta inglese, ideali per la corta distanza e per la foresta.
Il letale e famoso calibro .458 Lott da caccia all’elefante
Armi:
- Express double rifle per la caccia nella foresta, grazie alla possibilità del secondo colpo immediato.
- Bolt action camerati nei calibri più robusti per la caccia in savana, dove spesso si ha una visuale migliore e distanze più lunghe.
Le cacce all’elefante nella storia: tra leggenda, esplorazione e colonialismo
Gli albori: quando l’avorio valeva più dell’oro
La caccia all’elefante ha origini antichissime. Già nell’Antico Egitto e successivamente nell’Impero Romano, l’elefante veniva cacciato – o più spesso catturato vivo – per essere usato nelle guerre o nei giochi gladiatori. Tuttavia, è con il boom del commercio dell’avorio tra il XV e il XIX secolo che la caccia all’elefante assume proporzioni gigantesche.
L’avorio, considerato “oro bianco”, veniva usato per realizzare sculture, tastiere di pianoforti, bilie da biliardo e ornamenti pregiati. Questa richiesta alimentò per secoli spedizioni e carovane lungo le rotte che attraversavano l’Africa dall’interno verso la costa.
L’epoca d’oro dei grandi cacciatori bianchi
Tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento, con l’arrivo dei colonizzatori europei e l’avanzare delle esplorazioni, la caccia all’elefante diventò l’icona della grande caccia africana.
Quella era l’epoca dei cosiddetti “Great White Hunters”, uomini leggendari come Frederick Courteney Selous, Walter Bell, Karamoja Bell e John “Pondoro” Taylor, che dedicarono la loro vita alla caccia e alla conoscenza dell’Africa.
Per loro, la caccia all’elefante non era solo una questione di trofeo, ma un’arte, una scienza e una prova di sopravvivenza. Non esistevano mezzi moderni o veicoli: si partiva a piedi, con carovane di portatori, giorni e giorni di marcia, seguendo piste polverose o tracce invisibili nella foresta.
Le armi dell’epoca: calibro e coraggio
All’inizio i cacciatori utilizzavano vecchi fucili a polvere nera, spesso insufficienti contro la mole di un elefante. Gli incidenti mortali erano all’ordine del giorno.
Con l’evoluzione delle armi da fuoco, arrivarono i “big bore rifles”, armi massicce a canna liscia o rigata con calibri impressionanti come il 4 bore o l’ancora più potente 2 bore, capaci di sparare proiettili da mezzo chilo. Queste armi, però, erano difficili da maneggiare e devastanti anche per chi sparava.
Il passaggio epocale avvenne con l’introduzione dei Nitro Express, come il .450, .470 e .500, che permisero ai cacciatori di affrontare l’elefante con maggiore efficacia e sicurezza.
Le tecniche di caccia dei pionieri
La tecnica più usata era il “brain shot”, il colpo al cervello, considerato l’unico modo per abbattere immediatamente l’animale. Ma colpire il cervello di un elefante, ben protetto da uno spesso scudo osseo, richiedeva conoscenza millimetrica dell’anatomia e sangue freddo.
I cacciatori erano spesso soli o accompagnati da una piccola squadra di tracciatori africani, esperti nel leggere i segni della savana. Gli inseguimenti duravano giorni interi e spesso terminavano con un colpo a distanza ravvicinata, a meno di 20 metri.
Il lato oscuro: lo sterminio
Se da un lato la caccia all’elefante creò miti e leggende, dall’altro portò a una decimazione delle popolazioni di elefanti africani. Intere aree furono svuotate di animali a causa della richiesta insaziabile di avorio.
Nel periodo coloniale, i “profesionisti dell’avorio” arrivarono ad abbattere centinaia di elefanti l’anno, spinti dal commercio europeo. La figura del cacciatore si sdoppiò: da un lato l’esploratore-romantico, dall’altro il distruttore al servizio del mercato.
La rinascita della caccia come conservazione
Dagli anni ’60 in poi, con la fine dei grandi safari di sterminio e la nascita dei parchi e delle riserve, la caccia all’elefante si è trasformata in caccia regolamentata e conservativa.
Oggi, nei paesi dove è ancora legale, come Zimbabwe, Botswana, Tanzania e Namibia, la caccia all’elefante è strettamente controllata e integrata nei piani di gestione ambientale. I fondi raccolti dalle licenze finanziano la conservazione e le comunità locali.
I GRANDI CACCIATORI E I SAFARI LEGGENDARI ALL’ELEFANTE
Frederick Courteney Selous: il vero cacciatore-esploratore
Considerato uno dei più grandi cacciatori e naturalisti della storia africana, Frederick Courteney Selous (1851-1917) dedicò oltre quarant’anni alla caccia grossa tra il Sudafrica, la Rhodesia e il Mozambico.
Selous non era solo un cacciatore di elefanti, ma anche un esploratore e un appassionato conoscitore della fauna africana. A lui si deve una delle prime descrizioni scientifiche dettagliate delle abitudini degli elefanti in libertà.
Nei suoi scritti, come “A Hunter’s Wanderings in Africa”, racconta la dura realtà dei safari dell’epoca: mesi di marcia a piedi, centinaia di chilometri senza acqua, piste insanguinate, colpi ravvicinati sparati con pesanti fucili a polvere nera. Selous abbatté oltre mille elefanti, ma fu tra i primi a riconoscere la necessità di proteggere la fauna africana.
Karamoja Bell: il maestro del “brain shot”
Un altro nome leggendario è Walter Dalrymple Maitland Bell, soprannominato “Karamoja” Bell per i suoi safari nella regione ugandese del Karamoja. Bell divenne celebre per la sua precisione chirurgica nel colpire il cervello degli elefanti con un fucile .275 Rigby (7×57 Mauser), calibro considerato “leggero” per un animale di quelle dimensioni.
La sua abilità tecnica lo rese famoso tra i cacciatori professionisti: riusciva ad abbattere elefanti con un solo colpo preciso, frutto di una conoscenza anatomica eccezionale e di una freddezza assoluta. Nei suoi racconti (“The Wanderings of an Elephant Hunter”) si respira tutta l’epica dei grandi safari d’inizio Novecento.
John “Pondoro” Taylor: tecnica e fucili
John Taylor, cacciatore professionista e autore del celebre “African Rifles and Cartridges”, è un altro dei mostri sacri della caccia all’elefante.
Esperto conoscitore di armi, Taylor descrive minuziosamente i diversi calibri e fucili adatti all’elefante, diventando una sorta di “manuale sacro” per ogni appassionato di armi da safari. Fu uno dei primi a teorizzare l’importanza del “potere d’arresto” e a descrivere il “Taylor Knock-Out Factor”, ancora oggi utilizzato per valutare l’efficacia dei calibri da caccia grossa.
I GRANDI SAFARI DEI PRESIDENTI E DEGLI SCRITTORI
Theodore Roosevelt: il safari presidenziale
Nel 1909 l’ex presidente degli Stati Uniti Theodore Roosevelt partì per uno dei safari più celebri della storia, organizzato dallo Smithsonian Museum. Accompagnato dal figlio e da un esercito di portatori, Roosevelt attraversò l’Africa orientale e abbatté oltre 500 animali, tra cui decine di elefanti.
Il suo obiettivo dichiarato era raccogliere esemplari per la scienza e i musei, ma il safari divenne un evento mediatico globale, celebrando l’immagine del cacciatore esploratore e contribuendo al mito dell’Africa come ultima frontiera della natura selvaggia.
Ernest Hemingway: la caccia come romanzo
Ernest Hemingway, appassionato cacciatore e profondo conoscitore dell’Africa, consacrò l’epica della caccia all’elefante nei suoi celebri racconti “Verdi colline d’Africa” e “Le nevi del Kilimangiaro“.
Per Hemingway, la caccia non era solo preda e trofeo, ma un viaggio interiore, uno scontro con se stessi e con i propri limiti. La figura dell’elefante, enorme, maestosa e carica di simbolismo, rappresentava per lui la sfida suprema, il confine tra vita e morte.
Robert Ruark: la filosofia del “fair chase”
Negli anni ’50 un altro scrittore americano, Robert Ruark, contribuì a creare il mito del safari con il suo libro “Something of Value” e soprattutto con “Horn of the Hunter”, dedicato alla sua caccia all’elefante con il leggendario PH Harry Selby.
Ruark racconta la caccia con un taglio più moderno, dove il rispetto per l’animale e la natura inizia a emergere come valore fondamentale, anticipando quello che oggi è il concetto di “caccia etica”.
L’eredità dei grandi: tra leggenda e realtà
La caccia all’elefante nella storia è stata molto più di un’attività venatoria. Ha rappresentato la conquista di territori sconosciuti, l’incontro con culture diverse, l’epica dell’uomo di fronte alla natura selvaggia.
Oggi resta un’esperienza rarissima e profondamente diversa da quella dei pionieri, ma i racconti di quei grandi cacciatori, le loro gesta e le loro paure continuano a vivere e a ispirare chi si avvicina con rispetto a questa straordinaria sfida.
L’elefante rimane, allora come oggi, il simbolo dell’Africa vera: possente, misterioso e indimenticabile.
UNA CACCIA PER POCHI, RICCA DI SIGNIFICATO
La caccia all’elefante non è solo una questione di forza bruta o di dimensioni. È una delle prove più difficili per ogni cacciatore professionista, richiede freddezza, tecnica e una profonda conoscenza dell’animale e dell’ambiente.
Affrontare un elefante nel suo habitat naturale, sia esso la sconfinata savana o la fitta foresta equatoriale, significa immergersi in un’Africa primordiale, dove la caccia torna ad essere un dialogo silenzioso con la natura e con la propria coscienza.
Una sfida che pochi possono permettersi di vivere, ma che rimane scolpita per sempre nella memoria di chi ha il privilegio di affrontarla.
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