Bassotto Tedesco da Caccia: il piccolo cacciatore dal cuore antico
C’è un’immagine che appartiene all’immaginario collettivo di ogni cacciatore o amante dei cani da lavoro: un’ombra lunga e bassa che si infila con decisione nel buio di una tana, tra rami contorti e radici profonde, mentre il bosco trattiene il respiro e il cacciatore resta in attesa.
È l’immagine del bassotto tedesco da caccia, il Dachshund, compagno infaticabile di generazioni di cacciatori, forgiato nella storia, temprato dalla terra, fedele al proprio istinto e al proprio padrone.
Il suo corpo allungato e muscoloso, le zampe corte ma robuste, lo sguardo sveglio e attento, raccontano di un cane costruito non per compiacere, ma per lavorare. Sotto quella sagoma curiosa e inconfondibile si cela uno degli ausiliari più tenaci e polivalenti che la storia venatoria europea abbia mai conosciuto.
Una storia lunga cinque secoli: tra cunicoli, imperatori e battaglie
Le radici del bassotto affondano nel cuore della Germania medievale, quando cacciatori e contadini iniziarono a selezionare piccoli cani dotati di coraggio e agilità straordinari, adatti a infilarsi nelle tane di animali pericolosi come tassi e volpi. I primi documenti che ne testimoniano l’esistenza risalgono al XVI secolo, e già allora questi cani erano noti come “Dachs Kriecher” o “Dachs Hund”, ossia “cani del tasso”, a indicare la loro specializzazione venatoria.
Nel tempo, la selezione divenne sempre più accurata. I cacciatori cercavano soggetti con un torace stretto ma potente, una spina dorsale flessibile, un naso infallibile e una voce forte, in grado di segnalare la presenza della preda anche a metri di profondità. Il carattere era fondamentale: serviva un cane audace ma riflessivo, risoluto ma capace di lavorare con metodo e senza isterie.
Nel XIX secolo, con la codificazione delle razze canine e l’affermarsi della cinofilia moderna, il bassotto venne ufficialmente riconosciuto e divenne simbolo nazionale in Germania. Ma fu anche in quegli anni che la sua fama si diffuse in tutta Europa, fino a raggiungere le corti reali inglesi, le case borghesi parigine e persino i salotti dell’élite americana. Eppure, nonostante la sua crescente popolarità come cane da compagnia, il bassotto non ha mai dimenticato le sue origini: è nato per la caccia, ed è lì che dà il meglio di sé.
Un corpo che racconta una funzione
La morfologia del bassotto è la più eloquente dimostrazione di quanto la forma segua la funzione. Il suo corpo allungato non è un difetto, ma un vantaggio evolutivo: permette una maggiore flessibilità nel sottosuolo, nei cunicoli stretti, tra le rocce e i tronchi. Le zampe corte riducono l’ingombro, mentre il torace ampio e la potente muscolatura dorsale garantiscono forza e resistenza. Il cranio, allungato ma proporzionato, è dotato di una dentatura forte, capace di trattenere la preda quando necessario. Gli occhi espressivi, l’udito fine, il fiuto sopraffino completano il profilo di un cane attentissimo all’ambiente.
Ma ciò che rende il bassotto unico è il suo carattere: indipendente ma fedele, testardo ma sensibile, riflessivo ma sempre pronto all’azione. È un cane che non si concede facilmente, ma quando si lega al proprio conduttore lo fa con una devozione silenziosa e sincera.
Le molte facce di un solo cane
Nel corso della sua evoluzione, il bassotto ha sviluppato una notevole varietà di forme, taglie e mantelli. Oggi esistono nove varietà riconosciute, frutto di una selezione accurata volta a rispondere a esigenze diverse: dal tipo di preda al territorio, dalla stagione all’ambiente operativo.
Le tre taglie principali – standard, nano e kaninchen – si distinguono per la circonferenza toracica e per il peso, che vanno dai 9 chili del tipo standard ai poco più di 3 del kaninchen, selezionato specificamente per la caccia al coniglio selvatico in tane strettissime.
Allo stesso modo, il mantello si è evoluto in tre varianti: corto, duro e lungo. Il pelo corto è liscio, aderente e facile da mantenere, spesso associato a linee più “urbane” ma ancora molto usato anche nella caccia. Il pelo duro, forse il più rustico, è resistente alle intemperie e alla vegetazione fitta, ed è per questo il preferito da molti cacciatori. Infine, il pelo lungo conferisce eleganza e dolcezza all’aspetto, ma non esclude affatto l’utilizzo venatorio: molti bassotti a pelo lungo vengono impiegati con successo nel lavoro su pista di sangue.
Il lavoro venatorio: oltre la tana
Anche se la caccia in tana rappresenta il suo regno naturale – e nessun cane la incarna con tanta perfezione quanto il bassotto – negli anni questa razza ha dimostrato di possedere una versatilità sorprendente, rendendosi utile e, in molti casi, insostituibile anche in ambiti venatori molto diversi. Volpi, tassi e conigli restano le sue prede d’elezione, quelle per cui è stato selezionato, modellato e perfezionato per secoli. Ma il bassotto, quando ben condotto, può esprimersi con straordinaria efficacia anche al di fuori della tana, in territori boscosi, collinari o montani.
Tra le sue doti più apprezzate vi è la capacità di lavorare come cane da traccia, specializzato nel recupero di selvaggina ferita, soprattutto ungulati come caprioli, cinghiali e cervi. In questo ruolo il bassotto mette in campo tutte le sue qualità: un fiuto finissimo, un senso dell’orientamento eccezionale, una tenacia instancabile e – qualità rara – una capacità di concentrazione che gli permette di rimanere sulla pista anche molte ore dopo lo sparo. Non si lascia ingannare da deviazioni o tracce false, e non perde mai la calma: è un cane che ragiona, analizza, insiste. Questo lo rende ideale per i recuperi più difficili, dove altri ausiliari possono cedere alla stanchezza o all’impazienza.
Ma è soprattutto il suo torace largo e ben sviluppato, una caratteristica anatomica tipica della razza, a offrire un vantaggio strategico notevole in contesto venatorio. Questo torace non è solo funzionale alla respirazione profonda durante il lavoro sottoterra, ma gli conferisce anche una cassa di risonanza vocale particolarmente ampia, che permette al bassotto di emettere un abbaio profondo, potente e ben modulato, udibile anche a grande distanza nel bosco. Quando lavora in tana o in terreni molto fitti, questa voce è il suo filo d’Arianna: il cacciatore, anche se distante o in zone a visibilità ridotta, può sempre sapere dove si trova il cane, se ha fermato il selvatico o se ha bisogno di assistenza.
In ambienti particolarmente selvaggi, poi, il suo abbaio forte e continuo ha un’altra funzione fondamentale: serve anche a tenere lontani altri predatori o opportunisti – come volpi, corvidi o addirittura cinghiali – che potrebbero avvicinarsi alla preda ferita. Il bassotto resta lì, vigile e risoluto, mantenendo la posizione e segnalando, spesso per lunghi minuti, fino all’arrivo del cacciatore. È questa la sua più grande espressione di affidabilità: non molla mai il posto, non si distrae, non abbandona la traccia. È un custode tenace.
In alcune regioni d’Europa, il bassotto è anche impiegato con successo nella caccia vagante alla lepre, dove il suo passo corto ma regolare, il naso costantemente rivolto a terra e il suo modo di “strisciare” tra erbe alte e fossi lo rendono particolarmente efficace. Sa adattarsi anche alla caccia al fagiano o alla beccaccia, dove lavora con un passo meno ampio rispetto ai cani da ferma, ma con una continuità e un rigore che lo rendono facilmente controllabile anche da parte di cacciatori non professionisti.
In alcune battute al cinghiale, viene utilizzato come cane da spinta o da segnalazione. In questi casi, il bassotto non entra in contatto diretto con il selvatico, ma lavora sulla linea di disturbo: spinge il cinghiale fuori dalla vegetazione o lo segnala con la voce per facilitarne l’individuazione e il tiro. Pur non essendo un molossoide, non teme il contatto, e se ben selezionato può diventare un ottimo ausiliario in piccoli team di cani misti.
Non bisogna mai dimenticare che, sebbene oggi molti bassotti siano scelti come cani da compagnia, questa è una razza venatoria a tutti gli effetti, plasmata da generazioni di allevatori per affrontare le sfide del bosco. Quando lavora, il bassotto si trasforma: da tenero compagno da divano a instancabile detective del sottobosco, da piccolo principe della casa a fiero guerriero della foresta.
Ecco perché, tra i cacciatori che lo conoscono veramente, il bassotto è rispettato non per ciò che appare, ma per ciò che sa fare. Non serve urlare, correre o imporsi: basta il suo abbaio, forte e sicuro come un colpo di campana nel cuore del bosco, per sapere che lui è là… che ha trovato… che sta aspettando. E non se ne andrà finché il suo compito non sarà compiuto.
Parola di cacciatore: “Quel giorno, solo lui poteva farcela”
Testimonianza di Marco Z., cacciatore esperto dell’Appennino toscano, specializzato in recuperi su pista di sangue con il suo bassotto a pelo duro, “Timo”.
“Lo dico senza retorica: nella mia vita ho avuto bracchi, segugi, spinoni… ma nessun cane ha saputo sorprendermi e insegnarmi tanto quanto il mio bassotto, Timo.
La prima volta che l’ho portato nel bosco non avevo grandi aspettative. Un piccolo cane, basso, con quelle zampe tozze… mi dicevo che al massimo avrei potuto provarlo per qualche coniglio o per gioco. Ma mi sbagliavo. Dietro quell’aria buffa si nascondeva un professionista silenzioso, con un’energia inesauribile e un’intelligenza che non avevo mai visto in altri ausiliari.
Ricordo bene la giornata in cui ho capito davvero di che pasta fosse fatto. Era ottobre, una di quelle mattine umide in cui la nebbia ti entra nelle ossa. Un capriolo colpito male la sera prima non si trovava, e io fui chiamato per il recupero. La zona era impervia, piena di fitta vegetazione, rovi, canaloni. Un incubo per cani grandi, e infatti altri due ausiliari si erano già arresi dopo pochi metri di pista.
Ho lasciato Timo a terra, gli ho mostrato la traccia… e da lì ha iniziato il suo lavoro, con quel suo modo metodico, basso sul terreno, come se ascoltasse la storia scritta tra le foglie. Dopo i primi 300 metri, ci siamo trovati davanti a un intrico di felci e spine. Io stesso ho esitato, ma lui no. Si è infilato senza fiatare, solo la punta della coda che vibrava era visibile, come una piccola bandiera che indicava: “è da questa parte”.
Abbiamo camminato – o meglio: lui ha camminato e io ho arrancato – per più di un’ora. Silenzio assoluto. Poi, a un certo punto, si è fermato, ha alzato il muso e ha iniziato a emettere quella sua voce rotonda, profonda, quasi solenne. Era là. Il capriolo, ferito ma ancora vivo, era accovacciato sotto una macchia. Timo si era fermato a pochi metri, non lo aveva attaccato, non aveva fatto confusione: lo aveva solo segnalato, come fanno i veri professionisti.
Quel giorno, lo confesso, mi sono commosso. Non per la preda ritrovata, ma per la complicità profonda che si era creata tra me e lui. Aveva capito il suo compito, lo aveva portato a termine senza sbagliare una curva, senza mai chiedere nulla in cambio. E da allora, ogni volta che lo vedo saltare nel cassone del fuoristrada, zampa corta e cuore lungo, sento di potermi fidare di lui più che di molte persone.
Il bassotto non è un cane da rumore, non fa scena. È un cane da bosco, da silenzi lunghi, da decisioni ponderate. Non ti segue perché glielo imponi: ti sceglie, se ti guadagni la sua fiducia. Ma quando lo fa… non ti lascia mai solo.”
Personaggi celebri e i loro bassotti: storie di fedeltà, stile e complicità
Nel corso della storia, il bassotto ha conquistato il cuore di sovrani, artisti, generali e presidenti. La sua presenza elegante ma mai sottomessa, il suo sguardo profondo, l’andatura inconfondibile e la capacità di instaurare un legame autentico con il suo padrone lo hanno reso un compagno ambito da uomini e donne illustri. Alcuni di loro non si separavano mai dal proprio piccolo “cane da caccia personale” e lo portarono con sé persino nei momenti più solenni, nei salotti più raffinati e nei viaggi più impegnativi.
Napoleone Bonaparte: il bassotto dell’Imperatore
Anche Napoleone Bonaparte, l’uomo che sconvolse l’Europa con le sue campagne militari e il suo genio strategico, non rimase indifferente al fascino del bassotto. Secondo alcune fonti, Napoleone possedeva un bassotto tigrato chiamato “Grenouille”, che lo accompagnava nelle sue marce e durante i momenti più solitari delle campagne. Sebbene la vita militare dell’Imperatore fosse frenetica e spesso priva di spazi privati, pare che il cane fosse una delle poche presenze capaci di infondergli un senso di calma e familiarità. Napoleone amava circondarsi di pochi fidati compagni e, come accadde anche ad altri grandi leader, trovava nei suoi animali domestici una fedeltà silenziosa e incondizionata che pochi uomini sapevano offrirgli.
Kaiser Guglielmo II: l’icona del bassotto imperiale
Tra gli amanti più dichiarati del bassotto vi fu sicuramente Guglielmo II, ultimo imperatore tedesco, un uomo dall’aspetto imponente ma dal cuore tenero verso i suoi cani. Ne possedeva diversi, tutti bassotti a pelo corto, che apparivano spesso nei ritratti ufficiali, accanto al trono o nei giardini di corte. Uno di loro, di nome Erdmann, gli era particolarmente caro: tanto che, quando il cane morì, Guglielmo volle farlo seppellire con onori quasi regali nei giardini della sua residenza di Potsdam. I bassotti dell’Imperatore divennero talmente noti da essere considerati una sorta di simbolo della monarchia tedesca, e molti cortigiani seguirono il suo esempio, adottando esemplari simili per le loro case.
Il Kaiser Guglielmo II di Germania con i suoi immancabili bassotti
Regina Vittoria: una sovrana e il suo amore per la razza
Anche la Regina Vittoria d’Inghilterra, donna dal gusto impeccabile e profondamente legata alla cultura germanica (suo marito era il Principe Alberto di Sassonia), nutriva un affetto profondo per i bassotti. Li considerava animali “estremamente devoti, sensibili, ma pieni di carattere”. A corte erano trattati quasi come nobili, con cucce in velluto, cure personalizzate e una dieta studiata. Due dei suoi esemplari più amati si chiamavano Boy e Dash, ed erano parte integrante della sua routine quotidiana: la accompagnavano nelle lunghe passeggiate nei parchi reali e, si dice, dormissero persino in una cuccia vicino alla sua camera da letto. La loro presenza contribuì non poco alla diffusione del bassotto nel Regno Unito, dove divenne simbolo di buon gusto e fedeltà.
Pablo Picasso e Lump: arte, affetto e complicità
Nel mondo dell’arte, uno dei rapporti più poetici tra uomo e cane è stato quello tra Pablo Picasso e il suo bassotto Lump, nome che in tedesco significa “mascalzone” o “canaglia”. Lump entrò nella vita del pittore nel 1957, portato dallo storico dell’arte David Douglas Duncan. Picasso, colpito dal temperamento vivace del cane, lo adottò immediatamente e da quel momento i due divennero inseparabili. Lump non era solo un animale da compagnia: era un compagno di studio, di ispirazione e persino di posa. Picasso lo ritrasse in numerosi schizzi, e in una serie di interpretazioni personali della “Meninas” di Velázquez, Lump compare tra i personaggi al posto del mastino originale. Picasso diceva che Lump “non era un cane, ma un essere con un’anima perfettamente autonoma e sensibile”. Il bassotto visse con l’artista per molti anni e alla sua morte fu sepolto nel giardino della sua villa in Provenza.
John F. Kennedy e il bassotto diplomatico
Persino negli Stati Uniti, paese più noto per i retriever e i setter, il bassotto seppe conquistare cuori altolocati. Durante una visita ufficiale in Europa, il presidente John Fitzgerald Kennedy ricevette in dono da un diplomatico tedesco un piccolo bassotto, come gesto simbolico di amicizia tra le due nazioni. Il cane fu chiamato Pushinka – il nome si ispirava ironicamente alla cagnolina russa inviata da Krusciov alla Casa Bianca. Sebbene Kennedy fosse un grande amante dei cani (nella sua residenza vivevano numerosi esemplari), quel bassotto si fece notare per la sua spavalderia e la capacità di inserirsi con naturalezza anche nelle cerimonie più rigide.
David Hockney e i suoi muse pelosi
Il celebre pittore britannico David Hockney, noto per i suoi colori brillanti e le atmosfere pop, è uno dei più grandi amanti del bassotto nell’arte contemporanea. I suoi due cani, Stanley e Boodgie, entrambi bassotti a pelo corto, compaiono in oltre un centinaio di dipinti, schizzi e bozzetti. Hockney li considerava parte integrante del suo mondo creativo e dichiarò più volte che “i cani ti guardano come se sapessero tutto di te, ma non ti giudicano mai”. In uno dei suoi cicli pittorici più noti, “Dog Days”, i due bassotti sono raffigurati mentre dormono, giocano, osservano, vivono – come testimoni silenziosi della quotidianità dell’artista. I cani sono diventati parte della sua firma stilistica, tanto da essere esposti anche in gallerie d’arte contemporanea.
Il bassotto sul grande schermo
Come ogni razza iconica, anche il bassotto ha fatto la sua comparsa nel mondo del cinema, spesso con ruoli secondari ma sempre memorabili. La sua silhouette inconfondibile e il carattere deciso lo hanno reso un protagonista perfetto per commedie familiari, film d’animazione e anche pellicole d’autore.
Uno degli esempi più famosi è “The Ugly Dachshund”, film Disney del 1966, noto in Italia con il titolo di “Quattro bassotti per un danese”, una commedia che ruota attorno a una famiglia di bassotti e a un Alano convinto di essere uno di loro. Il contrasto tra le taglie e i temperamenti genera gag esilaranti, ma anche un messaggio affettuoso sull’identità e la lealtà.
Nel cinema d’animazione, il bassotto è spesso rappresentato come il “cane intelligente ma testardo”, come nel caso di Slinky Dog, il giocattolo a molla della saga di Toy Story. Con la sua voce calda e il temperamento razionale, Slinky incarna alla perfezione lo spirito riflessivo e protettivo del vero bassotto.
In film come Grand Budapest Hotel di Wes Anderson, la presenza di un bassotto – piccolo ma inappuntabile, elegante ma pronto a difendere – diventa un segno stilistico, una pennellata di carattere in una composizione cinematografica perfetta.
Il bassotto, dunque, non è solo un compagno di caccia o un cane da salotto. È stato, nel tempo, testimone discreto di grandi eventi storici, confidente di regnanti, musa di artisti, compagno silenzioso di statisti, e simbolo di un’eleganza fatta di carattere, indipendenza e fedeltà. La sua figura, tanto iconica quanto funzionale, continua a evocare qualcosa di nobile, familiare e profondo – come un filo rosso che unisce il passato rurale delle campagne tedesche ai salotti delle corti reali e agli studi degli artisti del nostro tempo.
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