Caccia al Cervo: The Monarch of the Glen

Published On: 5 Maggio 2024
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Ondate di pioggia sottile, in forma di grandi parentesi, abbracciano la mia piccola altana divenuta rifugio estemporaneo dall’inclemenza degli elementi. Un vento turbinoso confonde i miei pensieri , scuote il mio animo e lo riporta ai giorni passati, alla fatica del vivere quotidiano e al dolore di recenti addii.

Così passano le primissime ore di quest’ultimo giorno di caccia che mi ha concesso ben pochi bramiti: troppo caldo ! Sedici gradi sono anomali per l’ottobre scozzese e per questo le femmine di cervo non sono ancora pronte : lo testimoniano gli sparuti gruppetti che ancora accolgono fusoni o maschietti troppo immaturi per essere dominanti.

La forestale ha dato mandato al guardiaccia, responsabile dell’area, di abbattere alcuni giovani e alcuni anomali proprio in questo periodo nel quale si è più concentrati sui poderosi “stag”.

Dopo un illusorio inizio di bramito durante la prima sera, i cervi cadono in un mutismo preoccupante e dopo ripetute perlustrazioni delle aree gradite agli animali, senza aver effettuato alcun avvistamento, decidiamo di penetrare nei boschi dai quali i cervidi dovrebbero urlare il loro desiderio.

Nel viluppo di rami, tra fanghi e torbe che inghiottiscono le calzature provocando lo schiocco di un bacio sonoro, procediamo con cautela nella speranza di scorgere un vecchio maschio, ma il rumore che facciamo è eccessivo e nonostante la miriade di tracce non riusciamo ad avvistare nulla.

femmine di cervo rosso scozzese

Si ritorna alla jeep, fradici di pioggia e sudore, per continuare l’ispezione dei “glen” , la valli che sappiamo gradite ai branchi, ma non scorgiamo che qualche sparuta femmina e pochi fusoni.

La forestale ci segnala la presenza di uno di questi giovani ancora in velluto e con evidenti malformazioni, per il quale viene sollecitato l’abbattimento qualora si verificasse l’incontro. Verso sera, il povero fusone viene colto dalla palla del sette millimetri a una settantina di metri dal sentiero. Ci appare decisamente sofferente, con corpo piccolo e grande testa su cui spiccano le due propaggini ancora in velluto: un buon abbattimento sanitario.

Un’altra mattinata passata nello scorrere tra i boschi più propizi, mentre le ferite da rovi si moltiplicano su mani e viso accompagnate da una leggera spruzzata di zecche, per la cui pericolosa abbondanza siamo molto vigili e attenti. Ancora nessun avvistamento.

Nel primissimo pomeriggio sorprendiamo un gruppetto di quattro cervi, fra cui un maschio sei punte abbattibile, in un prato popolato da pecore nella zona più bassa. Andiamo a prendere il vento giusto passando a valle degli animali che si trovano nella parte alta del prato, a pochi metri dal bosco di abeti e a un centinaio di passi da un muretto a secco che dovrebbe fornirci protezione durante l’approccio.

Impieghiamo una mezz’ora abbondante, ma concludiamo l’approccio in maniera corretta , dopo aver scavalcato un paio di “fence” , scacciato un montone ostinato che non voleva spostarsi e messi in ala quattro chiurli che becchettavano tranquilli nel prato umido. Mi sporgo leggermente dal muretto : i cervi sono ancora lì e il maschio è il più prossimo al bosco, a circa ottanta metri.

Una femmina alza immediatamente la testa verso di noi, che subito sprofondiamo tra pietre e felci per sparire alla vista. Mi accordo con l’operatore alla telecamera : dopo che avrò appoggiato la carabina sul muretto, potrà alzarsi lentamente e sarò io ad attendere il suo ok, sempre che lo “stag” non decida di lanciarsi verso gli alberi.

Appoggio l’astina, il sei punte mi guarda e comincia a muoversi verso il bosco. Sento netto il ”Vai” di chi è alla telecamera e il colpo parte in sincrono. Le femmine si lanciano verso gli abeti, mentre il rimando del colpo in cassa è nitido come un colpo di tamburo. Il cervo abbassa il posteriore, ma si rimette in corsa verso la salvezza. Lascio andare una seconda inutile botta in spina mentre l’animale già sta crollando per la prima fucilata.

Portati a termine con successo avvicinamento e conclusione, ci sentiamo rinfrancati nonostante l’assenza del bramito che, con la sua magia , avrebbe conferito un diverso taglio a questa cacciata. Ma così è e dobbiamo fare di necessità virtù, cercando di ottemperare anche al mandato conferitoci dalla forestale.

Trofeo di cervo rosso scozzese

La mattina successiva comincia con il solito giro delle aree migliori senza bramiti né avvistamenti : decidiamo allora di entrare in una delle valli nascoste esplorate in maggio nel mio soggiorno precedente. E’ “strategicamente” posizionata in una conca protetta da un girotondo di colline con un unico sbocco verso un fitto di abeti; ciuffi di felce ne lambiscono i margini, mentre un torrentello scorre sul lato sud nel bosco.

Le tracce sono abbondantissime, ma non riusciamo a scorgere nulla. Infilarci tra gli alberi è movimento di un attimo e proseguiamo la perlustrazione per quasi due ore. Riemergiamo fradici sul sommo di un colle con il sospetto di aver sbagliato direzione : a perdita d’occhio, solo colline d’erica e boschetti. Riacquisto compostezza e, dopo una lunga sbinocolata a valle, scorgo una catasta di legna sul ciglio di uno dei sentieri. Riprendiamo il cammino in quella direzione, dentro un torrentello che scorre, ovviamente, verso valle, e che da qualche parte porterà…

Eccoci ora in un insidioso prato allagato tra cespugli di felce , tronchi marci e alberelli che sembrano nocciuoli. Procediamo sotto una “shower” tipicamente scozzese, fradici sopra e sotto, e, avvistiamo, finalmente, come un miraggio la striscia in terra battuta del sentiero… almeno quattro kilometri più a valle del punto d’incontro.

Doccia bollente e lotta con l’ennesima zecca raccattata nel bosco , poi salmone a volontà.

I sedici gradi continuano, e di bramiti nemmeno un accenno. Anche durante le escursioni notturne, per localizzare eventuali nuove aree, non udiamo nulla; avvistiamo solo sparuti gruppetti di femmine senza il cervo dominante. Vi è un pratone molto frequentato dalle femmine prospiciente un magnifico bosco di querce che controlliamo dal sentiero –circa 320 metri- ogni giorno, all’alba e all’imbrunire. Il penultimo giorno come al solito passiamo davanti al prato: sembra deserto, ma un impercettibile movimento sul limitare attira la mia attenzione.

Scendo al volo dalla jeep e mi sdraio sul cofano cercando nell’ottica la conferma di quanto mi è parso. Né guardiacaccia né operatore scorgono nulla dalla loro posizione. Io, che sono più angolato rispetto a loro, riesco a scorgere una femmina proprio sotto una grossa quercia : improvvisamente, un maestoso maschio le si butta letteralmente sopra, concludendo la copula con il classico salto all’indietro tipico del cervo.

caccia in scozia cervo rosso

I palchi mi paiono alti, la corporatura decisamente possente, ma, data la distanza, non riesco a valutare il trofeo. Dopo che i due animali si sono defilati nel bosco, improvviso una strategia. So che dietro al bosco vi é un altro prato che porta ad un’abetaia immensa e intricatissima e ritengo che i due cervi siano diretti là; decido, quindi, di provare a tagliar loro la strada seguendo un sentierino perpendicolare al nostro che porta dritto al secondo prato. Trovo l’approvazione del guardiacaccia e, trascinato con me l’operatore, parto con piglio da templare alla conquista del “sacro Graal” venatorio.

Avanziamo, accorti ma con passo spedito, fino al sentiero dove comincia la distesa d’erba che porta all’abetaia: una piccola staccionata semidistrutta ne segna il confine.

Ed ecco un movimento alla mia destra . Tristemente seguito da quell’unica femmina, lo stag esce di ambio dal querceto, bellissimo trofeo “senza averne l’aria” (quasi triste come fiori ed erba di scarpata ferroviaria… mi si perdoni la citazione gucciniana). Non mi accorgo subito della sua consistenza perché sono concentrato sulla conclusione di questo bellissimo “stalking”. Faccio cenno con la mano all’operatore di avvicinarsi il più possibile. E’ già pronto e mi sussurra : “Quando vuoi”. E’ un attimo : appoggio l’asta del sette millimetri su ciò che resta della staccionata e il boato della fucilata sembra accelerare la corsa del monarca di quella valle, che salta e procede nella sua fuga fino a che non é abbattuto da un ulteriore colpo.

Copro i centotrenta metri che mi separano dallo stag in pochi istanti, mentre il cuore aumenta le palpitazioni. Mi giro verso l’operatore farfugliando qualcosa, forse urlando qualche parolaccia liberatoria per lo stupore : riverso a terra vi è “The monarch of the glen”, così come Sir Edwin Landseer, lo aveva fermato sulla tela , un poderoso “royal stag” da dodici punte con stanghe dalla lunghezza incredibilmente inusuale per quest’area.

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Il dipinto “The Monarch of the Glen”di Edwin Landseer alla National Gallery di Scozia a Edimburgo.

L’ultimo giorno eseguo un buon tiro su di un sei punte fermo a duecento metri sul fianco della collina opposta alla mia, tecnicamente perfetto, ma asettico , privo di quell’eccitazione da conquista che solo la caccia su traccia riesce a darmi. Ripenso al triste monarca , al quale non ho dato il tempo di costituire il suo harem e, soprattutto, a quella femmina che, sono certo, mi sarà riconoscente per averle concesso, anche se solo per pochi istanti, di essere stata regina.

post di Luca Bogarelli

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