Hermann Göring e la caccia: tra passione, propaganda e ideologia nel cuore del Terzo Reich
Una passione autentica… o un altro strumento di potere?
Quando si parla di Hermann Göring, è quasi impossibile separare la sua immagine di potente gerarca nazista da quella, più insolita ma altrettanto iconica, del cacciatore cerimoniale, vestito in loden verde, con cappello tirolese e piuma di gallo cedrone. Il suo amore per la caccia non fu solo un passatempo personale: divenne uno strumento ideologico, estetico e politico, profondamente intrecciato con la visione del mondo del Terzo Reich.
Per chi ama la storia della caccia, esplorare il rapporto tra Göring e l’universo venatorio significa entrare in un mondo fatto di riti, propaganda, riserve faunistiche “paleolitiche” e un’ossessione per il dominio assoluto sulla natura.
L’aristocrazia della foresta: un’ossessione prussiana
Fin da giovane, Göring fu attratto da un’immagine idealizzata della caccia aristocratica mitteleuropea. Il suo riferimento culturale erano i grandi nobili prussiani, cacciatori e guerrieri, che consideravano la selvaggina parte integrante della gestione del territorio.
Negli anni Trenta, quando raggiunse i vertici del potere nazista, Göring si trasformò nel custode di questa tradizione, circondandosi di trofei, cani, battute rituali, servitori in livrea. La caccia divenne la scenografia della sua autorappresentazione come “signore delle foreste tedesche”, un ruolo che gli garantiva non solo prestigio ma anche influenza politica.
Carinhall: la Versailles del bosco
Il simbolo massimo di questa visione fu Carinhall, la sua residenza privata costruita nel cuore della Schorfheide, un’enorme foresta a nord-est di Berlino, ricca di laghi, pascoli e selvaggina.
Costruita tra il 1933 e il 1936 in stile neobarocco, Carinhall fu dedicata alla sua prima moglie svedese, Carin von Kantzow, morta nel 1931. Göring la fece seppellire nella cripta della villa, dove ogni giorno si ritirava in preghiera, aggiungendo un’aura sentimentale e quasi sacra al complesso.
Gli interni erano un misto di lusso imperiale, cultura venatoria e propaganda: pareti coperte da tappezzerie in cuoio decorato, collezioni d’arte rubate in mezza Europa, armi da caccia intarsiate, trofei impagliati, mobili scolpiti a tema boschivo. In mezzo al salone principale troneggiava una statua in bronzo dell’uro, simbolo della “forza ancestrale” germanica.
Curiosità: secondo alcune fonti, Carinhall ospitava più di 1.500 pezzi tra dipinti, sculture, antichità e trofei venatori, molti dei quali provenienti da collezioni confiscate agli ebrei tedeschi.
La visita di Hitler a Carinhall
Tra gli ospiti più celebri di Carinhall ci fu Adolf Hitler, che vi si recò diverse volte, tra cui una visita documentata nell’ottobre del 1937. In quell’occasione, Göring lo accolse con una battuta di caccia sontuosa, seguita da una cena formale e da una visita privata alla cripta dove riposava Carin.
Hitler non era un cacciatore, e pare che l’eccessiva teatralità di Göring lo infastidisse. Tuttavia, riconosceva l’efficacia del “teatro della caccia” come elemento della propaganda del regime. La visita fu immortalata da numerose fotografie ufficiali: Hitler, cupo, passeggia nei giardini curati, mentre Göring, in tenuta da caccia, indica i trofei esposti con orgoglio.
Fu anche grazie a questi incontri simbolici che Göring consolidò il proprio ruolo centrale come gestore delle foreste del Reich.
Il legislatore della caccia: la Reichsjagdgesetz
Nel 1935, Göring supervisionò l’approvazione della Reichsjagdgesetz, la “Legge sulla caccia del Reich”, che rappresentò un punto di svolta nella regolamentazione venatoria in Germania.
Questa legge:
- Restringeva l’accesso alla caccia a chi possedeva un patentino di caccia ufficiale;
- Promuoveva criteri etici per il prelievo faunistico, come il rispetto per l’animale abbattuto e l’obbligo di un colpo preciso;
- Introdusse stagioni venatorie regolamentate, vietando la caccia in certi periodi dell’anno;
- Impose la gestione faunistica centralizzata, attraverso l’istituzione di distretti controllati dallo Stato.
Per la prima volta in Europa, la caccia fu trattata non solo come diritto di proprietà, ma come responsabilità ecologica e politica. Tuttavia, il linguaggio apparentemente ecologista della legge mascherava una visione profondamente ideologica: la natura come strumento di controllo e selezione, una foresta “pura” come lo voleva il Reich.
Una politica ambientale strutturata… con un’anima ideologica
La legge del 1933 non fu un episodio isolato. Nei quattro anni successivi, il regime nazista introdusse una serie di leggi e regolamenti che costruirono uno dei primi sistemi di legislazione ambientale d’Europa.
Nel 1934 arrivò la Legge sulla caccia del Reich (Reichsjagdgesetz), che trasformava la caccia in un’attività regolamentata, con principi etici, criteri di selezione e rispetto per la selvaggina. Un anno dopo, nel 1935, venne promulgata la Legge sul patrimonio naturale (Reichsnaturschutzgesetz), la prima legge tedesca a regolamentare la conservazione della natura nel suo insieme. Infine, nel 1937, fu introdotta una normativa specifica sul trasporto degli animali, che stabiliva standard minimi per mezzi, spazi e tempi di percorrenza.
Queste misure contribuirono a consolidare l’immagine di una Germania “verde”, dove la protezione della natura e degli animali si sposava perfettamente con l’ideologia del sangue e del suolo (Blut und Boden). La foresta germanica, la fauna selvatica, il paesaggio agricolo tradizionale erano parte integrante del mito nazionalsocialista: un ritorno alla purezza originaria, incontaminata dalla modernità e dalle influenze straniere.
Il mondo si congratula con Hitler: riconoscimenti e onorificenze
In un contesto che oggi può apparire assurdo, ma che all’epoca era percepito con altri occhi, il mondo internazionale accolse con favore queste iniziative tedesche a tutela degli animali.
Nel 1934, la Eichelberger Humane Award Foundation di Seattle, negli Stati Uniti, conferì ad Adolf Hitler una medaglia d’oro per il suo “straordinario contributo alla protezione degli animali”. Nello stesso anno, un comitato statunitense contro la vivisezione inviò all’ambasciatore tedesco a New York un certificato d’onore indirizzato a Hitler, elogiando la posizione tedesca contro gli esperimenti scientifici crudeli.
L’anno seguente, nel 1935, la “Legge sulla protezione degli animali” venne celebrata pubblicamente durante un convegno internazionale a Bruxelles come un modello giuridico da seguire. Anche la Legge sulla caccia del 1934, fortemente voluta da Hermann Göring, fu considerata tra le migliori al mondo per visione, struttura e impianto etico.
I progetti zoologici dei fratelli Heck: resuscitare l’uro
In linea con questa visione mitica e selettiva della natura, Göring sostenne finanziariamente e politicamente gli esperimenti dei fratelli Heinz e Lutz Heck, direttori degli zoo di Berlino e Monaco, che tentarono di riportare in vita alcune specie estinte dell’Europa preistorica.
Tra gli esperimenti più celebri:
La ricreazione dell’uro (Bos primigenius), attraverso incroci tra razze bovine primitive;
Il recupero del cavallo tarpano, selezionando esemplari dall’Europa orientale;
L’introduzione del cavallo di Przewalski come simbolo della cavalleria ancestrale.
Gli animali venivano poi introdotti in riserve controllate, in ambienti “ricostruiti” artificialmente per rappresentare il paesaggio europeo dell’età della pietra. Una sorta di Jurassic Park ideologico, dove la selezione naturale era sostituita da quella politica.
Il rituale della caccia come teatro del potere
Ogni battuta organizzata da Göring seguiva un protocollo rigidissimo:
- Gli animali abbattuti venivano disposti in fila, secondo specie e grandezza;
- Le mute di cani erano ben addestrate e guidate da staff ufficiali;
- I partecipanti ricevevano distintivi venatori del Reich, con croci, palchi in miniatura e decorazioni in corno;
- Trombe e corni da caccia segnavano ogni fase della giornata, dalla partenza all’onore finale reso al selvatico.
Durante questi eventi, Göring si presentava con divise disegnate su misura, a metà tra il Granduca e il maestro di caccia imperiale, alimentando il suo culto personale e la sua figura da “signore dei boschi del Reich”.
Il tramonto e la distruzione di Carinhall
Nel 1945, con l’Armata Rossa alle porte, Göring ordinò che Carinhall venisse distrutta con la dinamite, piuttosto che lasciarla ai sovietici. La tomba di Carin fu profanata, e molte opere d’arte andarono perse o furono trafugate.
Oggi, le rovine di Carinhall giacciono sommerse nella foresta di Schorfheide, visitabili a piedi da escursionisti e appassionati di storia. Il luogo, oggi protetto come riserva naturale, porta ancora i segni del delirio estetico e politico di uno degli uomini più potenti (e tragicamente teatrali) del Novecento.
Una lezione per la storia della caccia
Il caso di Hermann Göring ci insegna che la caccia, se privata dell’etica, può diventare strumento di manipolazione. La sua visione, fondata su dominio, estetica e controllo, rappresenta una delle degenerazioni più inquietanti della tradizione venatoria europea.
Per chi oggi si dedica con rispetto alla caccia e alla natura, ricordare questa storia significa rifiutare ogni forma di appropriazione ideologica, e riaffermare i valori di rispetto, equilibrio e responsabilità.
Fonti e letture consigliate
Franz-Josef Brüggemeier, “How Green Were the Nazis?”, Oxford University Press
Oliver Hilmes, “Carinhall – Görings Jagdhaus und die Legende”, Berlin Verlag
Bundesarchiv (Archivio fotografico)
Deutsches Historisches Museum – Hunting and the Third Reich
Wikipedia – Heck Cattle
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