Polvere nei Carpazi: il fascino selvaggio della Romania

Caccia al camoscio nei Carpazi: ci sono luoghi che si rivelano lentamente, come un animale selvatico che osserva prima di mostrarsi.
La Romania è così: non si concede al primo sguardo, ma quando lo fa, lascia il segno. Per il cacciatore, questa terra è molto più di una destinazione. È un ritorno all’essenza. È la caccia come doveva essere: vera, faticosa, profonda. Un viaggio che comincia tra le foreste primordiali e si arrampica tra le creste dei Carpazi, lì dove l’uomo è solo un ospite e il silenzio ha voce.
Tra le prede più ambite, spicca lui: il camoscio dei Carpazi, Rupicapra rupicapra carpatica, una sottospecie del nostro camoscio alpino. A prima vista, potrebbe sembrare simile, ma le differenze ci sono, e sono importanti. Il camoscio rumeno è più grande e massiccio, con corna spesso più lunghe e massicce, dalla curvatura elegante, trofei che superano abbondantemente i 110 punti CIC. La pelliccia invernale, più scura e fitta, è adattata a climi rigidi e altitudini impegnative. Vive in zone isolate, lontane dalle tracce umane, dove le rocce si fanno verticali e il vento canta storie antiche.
La storia della caccia rumena
Parlare di caccia in Romania senza citare il passato significa perdere un tassello importante. Durante il regime comunista, Nicolae Ceaușescu, dittatore della Romania dal 1965 al 1989, trasformò la caccia in una questione personale e politica. Cacciatore accanito, si riservava le migliori zone del Paese, custodite da forestali e guide che spesso mettevano a rischio la propria vita pur di soddisfare i suoi desideri. I trofei di Ceaușescu riempiono ancora oggi interi padiglioni nei musei venatori. Alcuni dei più grandi orsi e camosci mai abbattuti in Europa vennero prelevati sotto il suo regime. Ma quel periodo, pur oscuro per molti aspetti, ha lasciato in eredità una cosa positiva: un sistema rigoroso di gestione faunistica che ha permesso alla Romania di mantenere una biodiversità unica, soprattutto nei suoi ecosistemi montani.
Dove si caccia il camoscio in Romania
Le zone più affascinanti per la caccia al camoscio sono distribuite lungo tutta la catena dei Carpazi, che attraversa il cuore della Romania come una spina dorsale di pietra. Montefeltro propone diverse aree selezionate, tutte gestite con criteri moderni e sostenibili. Tra le migliori:
I Monti Făgăraș, nell’est della Transilvania: montagne alte, ripide, selvagge, con paesaggi da togliere il fiato e una popolazione di camosci molto ben strutturata.
I Monti Bucegi, più a sud, dove le pareti rocciose si alternano a praterie d’alta quota e dove è possibile avvistare animali straordinari, spesso abituati a territori estremamente verticali.
I Monti Rodnei, a nord, quasi al confine con l’Ucraina, dove il paesaggio cambia e assume tratti boreali. Qui il camoscio condivide il territorio con linci, orsi e aquile reali.
Le Gole di Bicaz e i Monti Ceahlău, meno noti, ma altrettanto affascinanti per chi cerca una caccia immersa nella solitudine più pura.
Ogni territorio ha le sue caratteristiche, ogni valle il suo microclima, ogni guida la sua storia. E con Montefeltro, l’esperienza non è mai improvvisata: ogni uscita viene preparata con cura, ogni battuta è frutto di studio e rispetto.
Una caccia che mette alla prova
La caccia al camoscio nei Carpazi non è per tutti. È una prova di resistenza, di osservazione, di umiltà. Non esistono punti di appoggio comodi o sentieri battuti. Si parte prima dell’alba, con lo zaino sulle spalle, salendo per ore tra larici e faggi, su versanti esposti dove l’unico rumore è il vento. Le osservazioni sono lunghe, la distanza di tiro spesso importante, il selvatico diffidente.
Ma quando finalmente lo si avvista – quel maschio solitario, fermo sul crinale con lo sguardo rivolto a valle – tutto si ferma. Il respiro, il tempo, i pensieri. Ed è lì che la Romania ti entra nel sangue: nella bellezza improvvisa, nell’emozione pura, nella consapevolezza di essere minuscolo ma parte di qualcosa di immenso.
Il privilegio della scelta
Molti cacciatori scelgono la Romania per la possibilità di trovare grandi trofei, ma tornano per ciò che non si può appendere al muro: l’atmosfera, l’autenticità, la qualità umana delle guide, la cucina tradizionale condivisa intorno al fuoco, le albe dai colori irreali.
E c’è chi decide, al momento del tiro, di rinunciare. Perché quel camoscio, lassù, è troppo perfetto per diventare un trofeo. Perché in quell’istante, il cacciatore non sente il bisogno di premere il grilletto, ma solo di osservare. E forse, è questo il più grande insegnamento dei Carpazi.
Nella nebbia dei Bucegi: il passo lento della caccia al camoscio
Ci sono cacce che si ricordano per il trofeo. E poi ci sono quelle che si imprimono nell’anima, che non finiscono con lo sparo ma iniziano molto prima, quando il sole è ancora nascosto dietro le creste e il respiro si fa fumo nel freddo dell’alba. La caccia al camoscio nei Monti Bucegi, in Romania, è una di queste.
La sveglia suona quando fuori è ancora buio. Nella piccola baita, il profumo di caffè si mescola all’umidità della notte appena trascorsa. La guida locale, un uomo silenzioso e sorridente che conosce ogni piega del terreno come le sue tasche, controlla ancora una volta lo zaino: binocolo, termica, telemetro, qualche snack, un thermos di tè caldo. Saliamo in silenzio sul pick-up e cominciamo la risalita su una pista sterrata, che ci lascia a quota 1.400, dove la foresta comincia a diradarsi.
La salita verso l’alto
Da lì inizia la vera caccia. A piedi, in fila indiana, su un sentiero sottile come un pensiero. I Monti Bucegi non regalano nulla: le pendenze sono severe, il terreno è misto tra calcare, erba secca e cespugli bassi. Ogni passo va ponderato. La guida ci fa segno di abbassarci, poi ci indica una parete a distanza: una femmina con due piccoli ci osserva da lontano. Non siamo interessati a lei. Il maschio, se c’è, sarà più in alto, dove la roccia si arrampica verso il cielo.
Il silenzio è ovattato, rotto solo dal fruscio del vento e dal suono ritmico dei nostri passi. Ogni tanto ci fermiamo a scrutare con il binocolo le pareti rocciose che si accendono dei primi riflessi dorati del mattino. Poi, finalmente, un cenno. Il nostro camoscio è lì.
È su una cresta lontana, fermo come scolpito nella pietra. Il binocolo conferma ciò che la guida già sapeva: è un bel maschio maturo, solo, in atteggiamento di osservazione. Non si è accorto di noi. Il vento è buono. Comincia l’avvicinamento.
Ci muoviamo radenti alla parete, sfruttando un piccolo canalone coperto da bassi ginepri. Ogni movimento è lento, calcolato. Raggiungiamo un piccolo sperone naturale che ci mette a tiro utile, poco sopra i 200 metri. Il camoscio è ancora lì. Il cuore batte forte. La guida sussurra: „Acum” – adesso.
Il colpo parte, netto, deciso, e l’animale crolla con un solo sussulto. Silenzio. Nessun urlo, nessuna esultanza. Solo un lungo respiro. La guida mi guarda e annuisce. È andata bene.
Il momento del rispetto
Raggiungiamo l’animale lentamente, attraversando un tratto impervio che ci costringe a usare mani e piedi. Quando arriviamo, il camoscio è lì, disteso su un letto di muschio. Bellissimo. Le corna curve, la pelliccia fitta e lucida, lo sguardo ancora vivo nel suo ultimo riflesso. Posiamo il fucile. Nessuno parla. Ci prendiamo un momento. Per ringraziare. Per onorare.
La guida prepara un piccolo ramo di abete e lo posa sul corpo. Poi, con la lama sottile del suo coltello, incide una croce su una pietra vicina. È un gesto antico, di chi sa che la caccia non è mai solo un prelievo, ma un incontro tra vita e morte, tra rispetto e necessità.
Il rientro è lento. Portiamo con noi l’animale, ma anche molto di più. Portiamo il freddo della montagna sulle guance, l’odore di resina sulle mani, e negli occhi quella visione improvvisa del maschio stagliato contro il cielo.
Cacciare nei Monti Bucegi significa confrontarsi con un territorio aspro e autentico. Le altitudini variano dai 1.000 ai 2.500 metri, tra foreste antiche, falesie verticali e pascoli d’alta quota. Qui il camoscio vive indisturbato, lontano dalle rotte turistiche, e per questo più selvatico, più imprevedibile, più vero. La caccia non è mai banale, mai garantita. Richiede fiato, pazienza, capacità di osservazione, e soprattutto, spirito. Ma proprio per questo, quando arriva il successo, è completo. Meritato.
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