Tre albe nel Caucaso: diario di una caccia al Tur orientale

Published On: 24 Maggio 2025
Tre albe nel Caucaso: diario di una caccia al Tur orientale

Nel cuore del Grande Caucaso, dove le cime innevate si stagliano come bastioni eterni contro il cielo, la natura si esprime nella sua forma più aspra e incontaminata: è qui che prende vita l’emozionante esperienza della caccia al tur orientale.

In queste valli remote, battute solo dal vento e dagli occhi attenti delle aquile, vive una delle creature più enigmatiche e affascinanti del panorama faunistico eurasiatico: il Tur orientale. Pochi animali incarnano l’essenza selvaggia della montagna quanto questo ungulato, simbolo di resistenza, bellezza e adattamento. E poche esperienze di caccia possono vantare l’intensità fisica ed emotiva della ricerca del Tur tra i contrafforti caucasici.

Il Tur orientale: profilo di un’antica creatura alpina

Il Tur orientale (Capra cylindricornis) è un caprino selvatico endemico del Caucaso orientale, in particolare della Georgia, dell’Azerbaigian e di alcune aree di confine della Russia. Si tratta di una specie robusta e straordinariamente ben adattata alla vita in alta quota. Gli esemplari adulti possono raggiungere i 100-110 kg di peso, con un mantello che varia dal bruno rossiccio estivo al grigio-beige invernale, utile per mimetizzarsi tra le rocce e i nevai.

Il Tur orientale

Le corna, piuttosto corte rispetto a quelle di altri caprini come il bouquetin o lo stambecco, presentano una curvatura cilindrica all’indietro, da cui deriva il nome scientifico della specie. Negli esemplari maschi più anziani, le corna raggiungono e superano i 90 cm e mostrano anelli di crescita evidenti, veri e propri libri scolpiti sul tempo.

Il Tur vive tra i 2.500 e i 4.000 metri, popolando pendii ripidi, canaloni inaccessibili, e creste esposte. Le sue abitudini sono prevalentemente crepuscolari, e i maschi si separano dai gruppi di femmine e piccoli per vivere in branchi isolati, a volte composti da soli due o tre individui. Proprio questa solitudine, unita alla conformazione estrema dell’habitat, rende la caccia al Tur una delle più difficili ed emozionanti al mondo.

Una caccia che è rito, sfida e poesia

Partecipare a una spedizione venatoria per il Tur orientale non è semplicemente partire per un viaggio di caccia. È abbandonare il mondo civilizzato per giorni e inoltrarsi in un territorio che richiede preparazione fisica, capacità di adattamento e una profonda conoscenza del comportamento animale e delle condizioni ambientali. Le salite sono impervie, i dislivelli notevoli, il respiro corto e affaticato già dopo pochi passi.

Ogni battuta richiede almeno tre giorni: uno per l’avvicinamento ai campi base, uno o più per l’osservazione e l’individuazione, e uno per l’azione vera e propria. In mezzo, la fatica delle lunghe marce, i cambi repentini del clima, il silenzio tagliente della roccia e l’adrenalina sottile dell’attesa. La caccia si svolge spesso oltre i 3.000 metri, su terreni che solo animali nati per l’arrampicata osano frequentare. Per avvicinare un buon maschio, è spesso necessario scalare, strisciare, aspettare ore dietro uno sperone di roccia o sotto una pioggia gelata.

Ma il Tur non si concede facilmente. È guardingo, instancabile, dotato di un’eccezionale vista a lunga distanza e di una sorprendente capacità di percepire il vento e i pericoli. Avvicinarsi a distanza utile, spesso tra i 250 e i 400 metri, richiede pazienza, esperienza e la complicità delle guide locali, esperti conoscitori della morfologia del terreno e delle abitudini degli animali.

La magia delle tre albe

I cacciatori più esperti concordano: non esistono due giornate uguali nel Caucaso. Ogni alba è un momento irripetibile, e proprio queste prime luci del giorno rappresentano l’essenza dell’esperienza. Il cielo che si schiarisce sopra le vette innevate, la nebbia che si solleva lentamente dalle valli, il profilo delle cime che emerge come da un sogno: tutto concorre a creare un’atmosfera quasi mistica.

La prima alba è quella della scoperta. Si osservano le tracce, si studiano i movimenti dei branchi, si prova a prevedere i loro spostamenti. Si impara a leggere la montagna.

Maschio Caucasico Orientale Tur

La seconda è quella della decisione. Si sceglie il maschio da inseguire, si pianifica l’approccio, si prende posizione. Ogni scelta, ogni passo, può essere decisivo.

La terza alba, se la fortuna e la bravura assistono, è quella dell’incontro. Un momento che richiede sangue freddo, tecnica, ma anche emozione. Perché nell’attimo dello sparo, tutta la tensione accumulata si condensa, e il legame tra uomo e natura si fa più forte, più reale, più profondo.

Preparazione e logistica: un viaggio per cacciatori veri

La caccia al Tur non è alla portata di tutti, e non dovrebbe esserlo. Richiede forma fisica, abitudine alla montagna, esperienza di tiro in condizioni estreme e una solida preparazione logistica. I campi base si raggiungono a cavallo o con muli, portando con sé tende, viveri, strumenti ottici e attrezzature leggere ma performanti. Le guide locali, spesso di etnia lezghina o daghestana, sono cacciatori esperti che conoscono ogni anfratto del territorio e rappresentano un elemento indispensabile del successo.

Caccia al Tur in Daghestan

La carabina ideale è leggera, potente e precisa: calibri come il .300 Win Mag o il 7mm Remington Magnum sono spesso consigliati. Fondamentale la scelta di ottiche di alta qualità, sia per l’avvistamento che per il tiro. Un errore comune è sottovalutare il peso: ogni chilo di troppo si paga caro in quota.

Etica e spirito della montagna

In un mondo in cui la caccia viene troppo spesso ridotta a luoghi comuni, l’esperienza del Tur rimette tutto nella giusta prospettiva. Non c’è nulla di facile, di predeterminato, di comodo. Ogni incontro è guadagnato con la fatica, e ogni prelievo richiede rispetto.

Il cacciatore moderno è, o dovrebbe essere, un uomo consapevole. Che non uccide per vanità, ma per misurarsi con se stesso, con la natura, con l’equilibrio delle cose. La montagna non mente, non fa sconti. Il suo linguaggio è quello della verità, e chi vi si avvicina deve farlo in silenzio, con rispetto, e con gratitudine.

Un trofeo che è anche un ricordo

Il Tur, con la sua possanza e la sua bellezza arcaica, rappresenta molto più di un trofeo da esporre. È il simbolo di un’avventura vissuta intensamente, di albe frementi, di sguardi incrociati con creature che abitano un altro mondo. Chi ha avuto il privilegio di affrontare le sue montagne porta con sé molto più di un trofeo. Porta storie da raccontare, silenzi da ricordare, paesaggi che restano scolpiti negli occhi.

Tur caucasico orientale, femmina,

“Tre albe nel Caucaso” non è solo il tempo medio di una caccia al Tur. È una formula poetica per descrivere un viaggio interiore, un ritorno all’essenza, una prova di coraggio e di umiltà. Cacciare il Tur orientale è, in definitiva, un atto di conoscenza: della natura, dell’animale e, soprattutto, di sé stessi.

Per chi cerca la bellezza aspra, la sfida autentica, il senso profondo della caccia, il Caucaso resta uno degli ultimi veri luoghi del mondo. Un teatro maestoso, dove ogni alba racconta una storia. Dove l’incontro con un animale può diventare leggenda.

Il racconto: diario di una caccia al Tur orientale

C’è un momento, nell’attesa dell’alba, in cui il mondo trattiene il respiro. Non è ancora notte, non è ancora giorno. Il cielo si tinge appena di un azzurro pallido, le stelle cominciano a svanire, e tu sei lì, in alto, tra le pietraie e i dirupi del Caucaso orientale, con il cuore che batte più forte del vento. Non c’è altra musica, in quel momento, che il silenzio della montagna.

caccia al Tur orientale

Sono partito per l’Azerbaigian alla fine di settembre, quando l’aria è ancora frizzante ma già si sente l’inverno bussare. Avevo letto, sognato, desiderato questa caccia per anni: il Tur orientale, l’animale mitico delle montagne del Grande Caucaso. Una creatura che sembra disegnata da uno scultore greco: la massa muscolare del camoscio, la fierezza dell’ibex, le corna possenti che disegnano curve come arabeschi nel cielo.

Giorno 1: la salita

La prima alba non è ancora caccia. È conquista. È il passo dopo passo del mulo, è la tua schiena sudata sotto il peso dello zaino, è il respiro che diventa vapore. Sali per ore, giorni a volte, per guadagnarti il diritto di vedere. Le guide, uomini asciutti e forti come la roccia, non parlano molto. Ti guardano negli occhi, ti leggono dentro. Uno di loro, Rasim, mi ha sorriso solo una volta: quando, a fine giornata, ci siamo accampati sopra i 3.000 metri e ho acceso il fornello con le mani intirizzite.

Tur caucasico orientale, femmina

“Domani, se siamo fortunati, vedremo i Tur. Ma non parlargli, prima. Guardali e basta.”

Dormire è un eufemismo. Il vento scuote la tenda, il freddo si infila nelle ossa, e la mente è altrove, già sul crinale.

Giorno 2: la prima occasione

All’alba, i colori sono irreali. Il sole non è ancora apparso e già le cime bruciano di riflessi dorati. Prendiamo posizione, con pazienza. Rasim scruta con il cannocchiale ogni piega della montagna. Poi un cenno, un sussurro: “Tur. Sei, forse sette. Maschi.”

Caucasico tur orientale

Li vedo. Eleganti, silenziosi, si muovono come danzatori su pareti che noi, umani, guardiamo con paura. Osservo, prendo misure, calcolo la distanza: 430 metri. Il più vecchio, un maschio con corna maestose, è lì, perfetto. Respiro. Appoggio la carabina. Ma il vento gira. In un attimo, il branco si scioglie come neve. Nessuno sparo. Solo il battito accelerato del mio cuore e il sorriso tranquillo di Rasim.

“Non era il momento giusto. Lo sarà.”

Giorno 3: la vetta e l’attimo

La terza alba è diversa. C’è tensione nell’aria, come se le montagne stesse sapessero che qualcosa sta per accadere. Camminiamo silenziosi, ognuno perso nei suoi pensieri. Il sole fa capolino tra le creste e illumina una parete lontana. Ancora una volta, Rasim vede prima di me: “Due maschi, uno è molto buono.”

Ci muoviamo a semicerchio, coperti dalla roccia. L’approccio dura due ore. Finalmente siamo a distanza: 310 metri. Respiro. Il vento è stabile. Appoggio la carabina. Sento ogni battito, ogni respiro. Poi il colpo.

Il Tur cade all’istante, dignitoso anche nella morte. Quando ci avviciniamo, lo guardo negli occhi chiusi. Lo accarezzo come si accarezza un vecchio rivale che si rispetta. Rasim annuisce.

Tre albe nel Caucaso

“Buon Tur. Era il suo tempo. E il tuo.”

Il ritorno

Il rientro è più leggero, anche se lo zaino pesa. Portiamo con noi più di un trofeo: portiamo la memoria, il rispetto, l’umiltà. Ogni curva del sentiero, ogni folata di vento ha un senso nuovo.

E mentre il Caucaso si allontana, capisco che quei tre giorni non sono stati solo una caccia, ma un rito, un’iniziazione, un incontro profondo con la natura più pura e con me stesso.

Non tutti capiscono. Ma chi c’è stato sa: la caccia è anche poesia, è misura, è scelta. Non si uccide per vincere, ma per sentire. E se quel sentimento nasce all’alba, nel silenzio di una cresta a 3.500 metri, allora forse abbiamo trovato qualcosa che somiglia alla verità.

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