Il Markhor: leggenda delle montagne e sogno dei cacciatori d’altitudine

C’è una caccia che non è solo un’impresa venatoria, ma un pellegrinaggio interiore. Un viaggio lungo sentieri sospesi, tra creste scolpite dal vento e vallate che sussurrano storie antiche.
È la caccia al Markhor, il re delle montagne dell’Asia Centrale, l’animale che più d’ogni altro incarna il mito della sfida, dell’eleganza selvaggia e del rispetto assoluto.
Il nome “Markhor” significa “mangiatore di serpenti”, e già questo basta a evocare la sua aura leggendaria. Ma al di là del nome, è la sua presenza a parlare: nobile, silenziosa, sfuggente. Il Markhor vive tra le vette impervie del Pakistan, del Tagikistan e dell’Uzbekistan, dove le pareti di roccia si fondono con il cielo e l’uomo è solo un ospite rispettoso.
Morfologia e carisma di un animale unico
Il Markhor è una capra selvatica di grandi dimensioni, potente e armoniosa, con una caratteristica che lo rende unico al mondo: le corna a spirale, lunghe fino a 160 cm nei maschi più maturi. Queste corna, avvolte come il tronco di un antico ulivo, rappresentano uno dei trofei più ricercati e simbolici dell’intero panorama venatorio mondiale.
Il suo manto varia dal grigio cenere al bruno dorato, con sfumature più scure nella stagione invernale. La barba fluente del maschio adulto si muove al vento come un vessillo montano, e ogni suo passo rivela equilibrio e potenza. È un animale abituato a vivere a quote estreme, spesso sopra i 3.000 metri, muovendosi con disinvoltura dove l’uomo arranca.
Il contesto geografico: dove si caccia il Markhor
Le zone dove si caccia il Markhor sono tra le più selvagge e affascinanti del pianeta, veri santuari naturali sospesi tra terra e cielo. In particolare, le montagne del Gilgit-Baltistan, nel nord del Pakistan, offrono scenari che sembrano scolpiti dal tempo: falesie vertiginose, gole profonde, torrenti impetuosi e distese alpine dove il vento racconta storie di popoli antichi. I sentieri che conducono a queste altitudini sono percorsi da generazioni di pastori, commercianti e cacciatori, e ogni passo è intriso di un’energia silenziosa e potente.
Nel Chitral, si attraversano altipiani coperti di neve e foreste di abeti e cedri, mentre a Torghar, nel Belucistan, il paesaggio cambia radicalmente: più arido, spoglio, eppure incredibilmente suggestivo, con canyon rocciosi che nascondono oasi di vegetazione.
Nel Pamir tagiko, invece, la caccia si svolge in ambienti meno boscosi ma ugualmente remoti: si tratta di altopiani battuti dal vento, spogli e pietrosi, dove l’altitudine supera facilmente i 4.000 metri e il senso di solitudine è assoluto. Qui, il cielo è più vicino, e la terra sembra raccontare solo l’essenziale.
Ogni territorio ha le sue difficoltà: creste affilate, sentieri impervi, l’assenza di riferimenti. Ma in ognuno, il Markhor trova rifugio, e il cacciatore trova la sua sfida.
La caccia al Markhor si svolge in regioni montuose remote e straordinarie, principalmente nel nord del Pakistan, lungo la catena montuosa dell’Hindu Kush, nelle valli del Gilgit-Baltistan, del Chitral, di Torghar e nel distretto di Kohistan. Al di fuori del Pakistan, alcuni permessi limitati si trovano anche in Tagikistan e Uzbekistan, in zone dell’altopiano del Pamir, ma è il Pakistan a rappresentare la patria autentica di questo animale leggendario.
Il paesaggio è di una bellezza mozzafiato: pareti verticali di roccia, creste affilate, vallate glaciali punteggiate da villaggi in pietra e foreste di ginepro e betulla. In estate, i versanti si tingono di verde e profumi d’erba alpina; in inverno, la neve copre ogni cosa, creando un silenzio totale, rotto solo dal vento.
Il periodo migliore per la caccia va da novembre a febbraio, quando il manto nevoso scende sulle quote più alte e i branchi si muovono più in basso in cerca di pascoli. È anche il periodo del bramito, quando i maschi competono per le femmine ed è più facile osservarli in attività.
Il clima è freddo e secco, con forti escursioni termiche tra giorno e notte. Le giornate possono essere soleggiate ma con temperature sotto zero, soprattutto in alta quota. È necessario un abbigliamento tecnico e una buona preparazione fisica per affrontare il dislivello, il vento e l’altitudine.
Le abitudini del signore delle rocce
Il Markhor è un animale elusivo, vigile e solitario. Ama i pendii scoscesi, le gole profonde, i versanti inaccessibili dove può osservare senza essere visto. È attivo soprattutto all’alba e al tramonto, quando lascia le cenge per alimentarsi di arbusti, muschi e piante alpine.
Il suo udito e la vista sono finissimi: è capace di percepire il minimo movimento a centinaia di metri. Per questo, avvicinarlo richiede giorni di cammino, appostamenti interminabili e silenzi profondi. Ogni battito di cuore, ogni passo sul ghiaino può fare la differenza tra successo e scomparsa.
Una caccia che è un rito di montagna
Cacciare il Markhor non è semplicemente prelevare un trofeo: è inseguire un’idea di perfezione, di bellezza selvatica che si lascia avvicinare solo da chi accetta le regole dell’altitudine e della lentezza.
La spedizione parte da un piccolo villaggi himalayano e da qui si attraversano fiumi glaciali, accampamenti di pastori nomadi, foreste sacre. Poi iniziano le salite: chilometri a piedi, carichi leggeri e spirito leggero. Le guide locali conoscono ogni cresta, ogni punto dove il vento gira e il sole tradisce.
E quando finalmente si scorge il branco, in equilibrio su una parete lontana, il cuore accelera. Ci vorranno ancora ore, forse giorni, per avvicinarsi. Ma è in quell’attesa, in quel rispetto silenzioso, che si consuma la magia. Il colpo non è mai l’obiettivo, ma la conclusione di un viaggio nell’essenza della caccia.
Armi e calibri consigliati
Per affrontare una caccia così impegnativa come quella al Markhor, la scelta dell’arma giusta è fondamentale. Si tratta infatti di tiri che, nella maggior parte dei casi, vengono effettuati a lunghe distanze, su terreni scoscesi e in condizioni atmosferiche variabili. Serve un’arma precisa, leggera da trasportare e in grado di mantenere affidabilità anche in ambienti ostili.
I calibri più consigliati per la caccia al Markhor sono:
.300 Winchester Magnum – perfetto per la sua precisione e la potenza necessaria per garantire un abbattimento etico anche oltre i 300 metri;
.308 Winchester – adatto ai tiri medi, offre un buon compromesso tra rinculo e precisione;
.270 WSM (Winchester Short Magnum) – ottima per la sua traiettoria tesa e la velocità del proiettile;
6.5 PRC – sempre più apprezzato per tiri lunghi in ambiente montano.
L’ideale è abbinare il fucile a ottiche con torrette balistiche, reticoli illuminati e grande luminosità, elementi indispensabili in condizioni di luce scarsa e per valutare correttamente la distanza e la traiettoria.
Il tiro può avvenire da posizioni molto instabili, pertanto è consigliato allenarsi con appoggi come treppiedi, sacche da tiro o bastoni e simulare le situazioni reali durante la preparazione.
Preparazione fisica: la condizione è tutto
Affrontare la caccia al Markhor richiede più di esperienza e abilità con il fucile: richiede resistenza fisica, equilibrio mentale e adattabilità ambientale.
Prima della partenza è fondamentale iniziare un allenamento specifico, idealmente 2-3 mesi prima. Il programma dovrebbe includere:
camminate giornaliere in salita con zaino in spalla (dai 10 ai 15 kg);
esercizi di resistenza (cardio, corsa, bicicletta, tapis roulant in pendenza);
allenamento funzionale per rinforzare gambe, schiena e core;
sessioni di simulazione tiro in quota, per abituarsi a gestire il battito elevato e lo stress in condizioni difficili.
L’ambiente montano del Karakorum e del Pamir non perdona: sentieri stretti, salite ripide, aria rarefatta. Anche un ottimo cacciatore può trovarsi in difficoltà se non ha un minimo di acclimatamento all’altitudine e un corpo preparato a resistere ore e ore su terreni irregolari.
Anche la preparazione mentale è importante: la pazienza, la capacità di sopportare il freddo, la solitudine, l’attesa. Chi si prepara con cura, parte già con un vantaggio.
Il valore di una scelta etica
La caccia al Markhor è regolamentata in modo rigoroso: pochi permessi ogni anno, distribuiti attraverso programmi di conservazione e aste pubbliche. Il 70-80% dei proventi va direttamente alle comunità locali, che proteggono attivamente l’habitat dell’animale e contrastano il bracconaggio.
Grazie a questo modello virtuoso, le popolazioni di Markhor sono in crescita. L’IUCN ha modificato il suo status da “in pericolo critico” a “quasi minacciato”: una vittoria della caccia responsabile come strumento di tutela.
Perché il Markhor resta il sogno di ogni cacciatore
Perché incarna il mistero, la difficoltà, la bellezza. Perché non si lascia mai prendere facilmente perché ogni sua immagine, ogni traccia sul terreno, è una lezione di umiltà. E perché chi riesce a conquistarlo non racconta mai solo un colpo riuscito, ma un’esperienza che resta nel cuore.
Il Markhor non si cerca con impazienza. Si attende. Si rispetta. Si sogna.
Ed è per questo che resta, e resterà sempre, la leggenda vivente delle montagne più alte del mondo.
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