Norvegia selvaggia: caccia e sogni tra tundra, pernici e cani da ferma

Ci sono terre che sembrano disegnate per la caccia, territori in cui l’uomo si misura con la natura non in una lotta, ma in un dialogo antico, silenzioso e rispettoso. La Norvegia è una di queste.
Un paese che custodisce ancora l’anima selvaggia del Nord, dove il cielo non finisce mai, i silenzi sono profondi, e i cani da ferma disegnano traiettorie invisibili tra muschi, betulle e tundre innevate.
Un viaggio che inizia ben prima del colpo di fucile
Chi sogna di cacciare in Norvegia sa che non si tratta semplicemente di abbattere una preda, ma di entrare in un mondo parallelo. L’accesso è regolato e rispettoso: serve ottenere una licenza, versare la tassa statale al Wildlife Fund e, se si è stranieri, dimostrare l’esperienza maturata nel proprio paese.

Ogni passaggio ha lo scopo di selezionare non solo il cacciatore competente, ma anche l’animo giusto, quello capace di comprendere cosa significa muoversi su una montagna scandinava, con il proprio cane, al seguito delle tracce leggere di una pernice bianca.
Dove la natura detta il passo
La Norvegia è una sinfonia di paesaggi: altipiani ventosi, foreste boreali, valli glaciali e isole lontane dove il tempo sembra sospeso. A nord, le Finnmarksvidda offrono vasti spazi aperti, tundre infinite in cui il bianco dell’inverno si scioglie in un verde delicato. Qui si caccia la Lagopus lagopus (pernice bianca nordica), un volatile sfuggente e mimetico, che si lascia trovare solo da chi ha occhi acuti… o un cane capace di percepire ogni sfumatura dell’aria.

Scendere verso sud significa incontrare boschi fitti, dove tra felci e licheni si nascondono beccacce e galli cedroni. Ogni angolo del paese regala una caccia diversa, una luce diversa, un cammino diverso. Ed è proprio il cammino, fatto al fianco del proprio cane, che diventa l’essenza del viaggio.
Il racconto di Enrico: tra tundra, silenzio e le ferme di Attila e Pordoi
«La prima pernice bianca l’ha fermata Attila, appena passata la linea delle betulle nane, su una lingua di muschio scuro che sembrava galleggiare sull’aria. Era lì, immobile, come se sentisse la preda respirare sotto il vento. Ho raggiunto il cane in silenzio, con il cuore che batteva forte… e quando la pernice si è involata come un fantasma chiaro, ho capito che il viaggio era valso già tutto».
A raccontarlo è Enrico, cacciatore appassionato, conoscitore profondo del cane da ferma e responsabile della caccia alla piuma in Montefeltro. Per anni ha sognato quelle lande lontane, e finalmente ha deciso di partire per scoprirle, portando con sé i suoi due setter: Attila, solido e deciso, e Pordoi, più riflessivo, ma dotato di un naso finissimo.

«Le giornate scorrevano lente, scandite dal passo regolare, dallo scrutare il terreno, dal vento che cambiava direzione ogni ora. Ma c’era una sorta di incanto: la Norvegia ti insegna a rallentare, ad ascoltare. Le ferme di Attila erano sicure e tese come corde; quelle di Pordoi, invece, delicate e quasi poetiche. Era come vedere due stili diversi di raccontare la stessa storia».
In una delle ultime giornate, i due setter si sono fermati contemporaneamente su un crinale che guardava il fiordo in lontananza. «Ho pensato che fosse impossibile che ci fossero due covate. Mi sbagliavo: si sono alzate sette pernici. Non ho sparato. Ho lasciato che volassero via. Era troppo bello. Era il mio regalo».
Cani da ferma: compagni d’anima nella caccia alla pernice bianca nordica
In Norvegia, il cane da ferma non è un ausiliario: è un compagno di viaggio, un alleato, un artista della natura. Che si tratti di setter inglesi, pointer o breton, il loro ruolo è centrale: cercano, puntano, segnalano. Con movimenti eleganti e precisi, fermano il tempo e la preda, creando quell’attimo magico in cui il cacciatore si prepara al tiro.

La Norvegia premia questi cani con un sistema di riconoscimenti ufficiali: per ottenere il titolo di Norwegian Hunting Champion, un cane deve dimostrare le sue qualità sia in campo sia in esposizione. Dev’essere bello, ma soprattutto bravo e intelligente, capace di affrontare boschi, brughiere, nevi e spazi infiniti.
Le prove si svolgono in ambienti reali: niente simulazioni, solo natura vera, selvaggina vera, comportamento reale. E chi ha assistito a una ferma su una cresta battuta dal vento sa che certi istanti valgono più di mille premi.
Un’etica profonda e radicata
Cacciare in Norvegia significa rispettare la selvaggina, la terra, il tempo. Le armi devono essere regolari, i calibri adeguati alla preda, i caricatori limitati. Ma soprattutto, è il cacciatore stesso a essere parte di un equilibrio: nessuno si improvvisa, nessuno sfida la natura senza averla prima capita.

Ogni atto venatorio è regolato, osservato, integrato in un sistema di gestione faunistica moderno ed efficace, in cui i cacciatori sono parte attiva della conservazione, e non spettatori. L’etica nordica impone attenzione, preparazione, ma anche una dose di umiltà: qui, più che altrove, si impara che la natura comanda, e l’uomo è solo ospite.
Le emozioni che si portano a casa
Chi torna da una caccia in Norvegia raramente parla solo del carniere. Racconta dei silenzi ovattati della tundra, del respiro del cane al galoppo, del primo frullo nel bianco lattiginoso dell’alba. Racconta di piogge improvvise, di rifugi di legno fumanti, di occhi lucidi per un’emozione che solo chi ha condiviso il bosco con il proprio cane può comprendere davvero.
«Non ho riportato a casa molti capi, ma ho portato con me un pezzo di quella luce, il profilo di Attila in ferma sul crinale, le orecchie tese di Pordoi al vento. E una pace dentro che non avevo mai sentito così forte», conclude Enrico.
In Norvegia, la caccia è una porta aperta su un mondo che ancora resiste intatto. È selvaggia ma accogliente, esigente ma generosa. Richiede rispetto, passione, preparazione, ma in cambio offre emozioni pure e indelebili. E il cane da ferma, in questo paesaggio norvegese di vento e luce, diventa l’elemento che unisce tutto: natura, uomo, silenzio e bellezza.
Per chi ama la caccia vera, quella vissuta con il cuore, la Norvegia non è una destinazione. È un richiamo.

















Montefeltro sui Social