Etica e Stile nella Caccia Moderna L’etica del rispetto: perché la vera caccia non è mai una carneficina

Nel dibattito attuale sulla caccia, spesso polarizzato, si dimentica un concetto fondamentale: la caccia etica, fatta di rispetto, consapevolezza e responsabilità.
Una parola che, nel contesto venatorio, non rappresenta un semplice codice di comportamento, ma la radice stessa di una pratica antica, fatta di misura, conoscenza, responsabilità e stile. Perché la vera caccia – quella che si tramanda tra generazioni, quella che si fonda su un rapporto autentico con la natura – non è mai una carneficina.
Lontani dagli stereotipi
La figura del cacciatore come sterminatore insaziabile appartiene a una visione caricaturale e, nella realtà moderna, profondamente falsa. Chi conosce davvero il mondo venatorio sa che oggi, più che mai, il cacciatore è un gestore consapevole, un osservatore esperto, un attore della conservazione ambientale.
Le normative sono rigide, i controlli costanti, ma soprattutto è l’etica personale a fare la differenza: l’etica del rispetto per l’animale, per l’ambiente e per la comunità.
La misura del prelievo
Una delle prime regole non scritte dell’etica venatoria è la misura. Misura nel prelievo, nella selezione, nella pianificazione. Cacciare oggi non significa più raccogliere quanti più capi possibile, ma scegliere con cura se, quando e come intervenire. In riserve come La Montefeltro di Rivergaro, ad esempio, la gestione degli ungulati è basata su piani faunistici scientificamente validati. Ogni capo abbattuto è frutto di una valutazione attenta, e mai di una decisione improvvisata. Non si spara per istinto, ma per responsabilità.
Conoscere è rispettare
L’etica nella caccia nasce anche dalla conoscenza profonda dell’animale. Il cacciatore moderno sa distinguere l’età, il sesso, le condizioni sanitarie e la struttura sociale della specie che osserva. Ogni osservazione, ogni appostamento, ogni tiro è preceduto da studio e consapevolezza. Non si abbatte un animale per vanità o per collezionismo, ma per contribuire all’equilibrio dell’ecosistema, mantenere la salute del branco, o evitare danni ambientali o agricoli.
Il rispetto della natura e delle emozioni
La vera caccia è silenziosa. Si svolge spesso all’alba, nel rispetto dei ritmi della natura. Ogni passo tra i boschi, ogni attesa sul crinale, ha un sapore antico e profondo. C’è chi parla di “spiritualità venatoria”: un sentire intimo che unisce il cacciatore alla terra, agli animali, alle stagioni. Quando si arriva al prelievo, il gesto è carico di rispetto. Non c’è esultanza, ma riflessione. Non c’è ostentazione, ma discrezione.
Uno stile che educa
L’etica venatoria è anche stile. E lo stile è ciò che rimane quando tutto il resto si dimentica. Il modo in cui si parla della propria passione, il modo in cui si interagisce con gli altri cacciatori, con le guide, con chi non conosce la caccia. Essere cacciatori, oggi, significa anche saper comunicare la propria identità con equilibrio e dignità. Chi partecipa a una caccia organizzata da Montefeltro, ad esempio, non trova solo selvaggina e paesaggi straordinari: trova cultura, educazione, cura del dettaglio, senso dell’ospitalità e valori condivisi.
Senza cacciatori responsabili, la fauna soffrirebbe
Un altro aspetto cruciale dell’etica venatoria moderna è comprendere il ruolo fondamentale che il cacciatore consapevole svolge nella tutela del patrimonio faunistico. L’idea, tanto diffusa quanto ingenua, che “la natura si autoregola” può sembrare affascinante nella sua semplicità, ma non tiene conto della profonda trasformazione che gli ecosistemi hanno subito negli ultimi cento anni.
L’antropizzazione diffusa, l’espansione urbana, la frammentazione degli habitat e l’eliminazione di molti predatori naturali hanno alterato in modo significativo gli equilibri ecologici. Le dinamiche che un tempo si regolavano da sole oggi necessitano di interventi mirati e scientificamente fondati. In assenza di controllo, alcune specie si espandono in modo incontrollato, generando sovrappopolazioni, incremento di malattie, danni all’agricoltura e impoverimento della biodiversità.
Il cacciatore etico, formato e guidato da piani di gestione, non agisce dunque contro la natura, ma per la natura. Il suo ruolo non è quello del predatore casuale, ma quello del regolatore responsabile. Prelevare un capo in eccesso, abbattere un soggetto malato, intervenire lì dove l’uomo ha creato squilibrio, significa spesso salvare un intero habitat. Liquidare tutto questo con l’affermazione che la natura “farebbe da sola” è non solo sciocco, ma potenzialmente pericoloso.
Il caso del lupo: una gestione mancata
Un esempio emblematico dei rischi legati all’assenza di una gestione attiva è rappresentato dalla situazione del lupo (Canis lupus) in molte aree d’Italia. Reintrodotto o naturalmente ricolonizzato in alcune zone dopo decenni di assenza, il lupo è oggi protagonista di un’espansione incontrollata, favorita da un quadro normativo che ne impedisce ogni forma di contenimento attivo, anche quando le condizioni ecologiche lo renderebbero necessario.
Protetto rigidamente da normative europee e nazionali, il lupo ha moltiplicato la propria presenza in ambienti ormai profondamente modificati rispetto al passato. La diminuzione della pressione antropica in aree marginali, l’abbandono della pastorizia tradizionale, l’incremento di ungulati selvatici e l’assenza di predatori superiori hanno creato una situazione ideale per la sua proliferazione.
Tuttavia, l’assenza di una strategia gestionale ha portato a conseguenze drammatiche: centinaia di attacchi annuali al bestiame, un crescente conflitto sociale con le comunità rurali, e – in alcune aree – l’avvicinamento dei lupi a centri abitati e zone frequentate da persone. Non sono mancati episodi di animali domestici predati, e persino avvistamenti a pochi metri dalle case, dai parchi gioco e dalle aree turistiche.
Continuare a ripetere che “la natura si autoregola” appare in questo contesto non solo teoricamente debole, ma anche irresponsabile. La natura si autoregolava quando esistevano ancora spazi incontaminati, catene trofiche intatte e una pressione umana molto inferiore. Oggi, in un paesaggio fortemente antropizzato, la fauna ha bisogno di una gestione attiva, trasparente, competente e, quando necessario, selettiva.
Il caso del lupo dovrebbe far riflettere. Una politica cieca, fondata più sull’ideologia che sulla scienza, rischia di minare il consenso attorno alla tutela della fauna stessa. Ed è proprio in queste situazioni che la figura del cacciatore formato, controllato e guidato da un’etica profonda, può diventare una risorsa fondamentale: non come persecutore, ma come regolatore.
La caccia è responsabilità
Lontani dalle derive consumistiche, la caccia autentica è responsabilità verso ciò che ci circonda. Significa sapere quando non è il caso di sparare. Significa accettare il limite, il silenzio, la rinuncia. Ma anche valorizzare ogni gesto, ogni scelta. In un mondo in cui il rapporto con la natura rischia di diventare sempre più superficiale, il cacciatore etico ha un ruolo fondamentale: quello di testimone, di mediatore, di custode.
La vera caccia non è mai una carneficina perché non nasce dalla violenza, ma dalla comprensione. Non si misura in numeri, ma in gesti corretti. Non vive nell’eccesso, ma nella misura. E chi la pratica con coscienza sa che la soddisfazione più grande non è nel bottino, ma nella coerenza con se stessi e con la natura.
In Montefeltro, crediamo che la caccia moderna debba essere etica, selettiva, rispettosa. E siamo fieri di accompagnare chi la vive con questo spirito.
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