Nella Selvaggia Bellezza di Ropotamo: Caccia alle Beccacce con Vista sul Mar Nero
Cercavo una nuova avventura, qualcosa che potesse toccare corde più profonde, spezzare la routine e riaccendere in me la pura emozione della caccia, questa volta accompagnato dai miei due fedeli pointer.
Avevo già esplorato molti luoghi, ma desideravo un’esperienza diversa, che potesse sorprendermi e lasciarmi un segno indelebile. Così, una sera come tante, mi imbattei nella riserva di Ropotamo, in Bulgaria. La descrizione parlava di una terra remota, dove la foresta incontra il mare, e della possibilità di cacciare beccacce con lo sguardo che abbraccia il blu profondo del Mar Nero. Qualcosa in quel pensiero mi colpì, come se un desiderio sommerso si risvegliasse all’improvviso.
Ropotamo, con le sue foreste antiche e le vaste aree umide, era la destinazione perfetta. Qui le beccacce trovano rifugio durante le migrazioni, tra alberi secolari e prati immersi nella nebbia mattutina. La loro abbondanza, insieme alla bellezza selvaggia del luogo, prometteva non solo una caccia, ma un viaggio nell’anima della natura.
Organizzai il tutto con cura: un volo per la Bulgaria, il noleggio di fucili direttamente in loco e un trasporto sicuro per i miei pointer. Era la prima volta che li separavo da me per un viaggio, ma sapevo che presto ci saremmo riuniti in un luogo dove la natura, con i suoi ritmi lenti e silenziosi, ci avrebbe accolti come vecchi amici.
Quando arrivai alla riserva, rimasi senza fiato. Le foreste di Ropotamo si stendevano maestose, tra il verde delle querce e il blu del Mar Nero all’orizzonte. Il vento che soffiava dal mare portava con sé l’odore salmastro, mescolato ai profumi della terra. Era come se quella natura incontaminata mi stesse chiamando, sussurrando promesse di quiete e avventura.
Rivedere i miei pointer fu un momento di pura gioia. Li trovai scattanti, pronti per l’avventura che ci attendeva. La casa di caccia che mi avrebbe ospitato per quei giorni era semplice, ma confortevole, immersa nel silenzio della foresta, dove solo il fruscio delle foglie e il rumore distante delle onde rompevano la quiete. Quella sera, guardando fuori dalla finestra, mi sentii in pace. Sapevo che l’indomani, all’alba, qualcosa di magico sarebbe iniziato.
Il primo mattino si tinse di luce dorata mentre uscivo con i miei pointer. Il terreno umido e l’aria fresca promettevano una caccia perfetta. I cani, come guidati da un istinto antico, si muovevano sicuri tra i cespugli e le felci, il loro naso a caccia di odori invisibili a occhio umano. E poi, all’improvviso, uno dei miei pointer si bloccò. Quel momento sospeso, carico di tensione, era quello che avevo aspettato. Una beccaccia si alzò in volo, il suo frullo riempì l’aria. Mi fermai a guardarla allontanarsi, sentendo che il vero valore di quella caccia non stava nel premere il grilletto, ma nel vivere quel frangente in tutta la sua semplicità e bellezza.
I giorni seguenti furono un continuo susseguirsi di emozioni, ognuna diversa ma sempre intensa. I miei pointer non deludevano mai, esplorando il terreno con la stessa passione con cui io osservavo i paesaggi. Le foreste di querce si aprivano a tratti su radure che rivelavano la vastità del Mar Nero, e io mi ritrovavo spesso a fermarmi, semplicemente per ammirare la bellezza selvaggia di quel luogo, sentendo che ogni respiro mi legava sempre di più a quella terra.
Ogni sera, dopo ore di caccia, tornavo alla casa di caccia con i muscoli stanchi e il cuore pieno. Mi sedevo accanto al camino, guardando la fiamma danzare, ripensando ai frulli improvvisi, ai miei pointer che correvano tra gli alberi, e al silenzio solenne della foresta. Le notti erano lunghe e calme, e il pensiero di un nuovo giorno all’alba riempiva il mio animo di gratitudine.
Quando arrivò il quinto giorno, e fu il momento di fare la valigia, un senso di malinconia mi avvolse. Ogni gesto mi sembrava più lento, ogni oggetto riposto un piccolo addio a quella terra che mi aveva accolto e cambiato. Guardai i miei pointer, stanchi ma soddisfatti, e sentii dentro di me che quella natura selvaggia mi era entrata nell’anima, insinuandosi come una dolce nostalgia. Le foreste, il mare, il vento… tutto sembrava aver lasciato un segno indelebile nel mio spirito.
Non era solo una caccia, non erano solo giorni trascorsi nei boschi. Era la scoperta di un legame profondo con la natura, di un silenzio che parlava più forte di ogni suono, di un richiamo che, sapevo, sarebbe rimasto con me a lungo. E mentre mi preparavo a partire, con la testa già rivolta al ritorno, compresi che la vera magia di Ropotamo non era solo nella sua bellezza, ma nella sua capacità di farti sentire parte di qualcosa di eterno e incontaminato.
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